Usato nel nostro dialetto come esclamazione di meraviglia, la parola Pizzica potrebbe derivare da un’antichissima famiglia brindisina estinta due secoli fa. Già presente in documenti del XIV secolo, risultava ascritta al seggio dei “nobili patrizi” sul finire del XVIII. La sua casa dette alla città tre sindaci: il notaio Vittorio nell’anno 1538-9, Federico anche notaio nel 1573-4 e un altro Federico, medico, nel 1643-4 (vds A. Del Sordo, Toponomastica brindisina).
Nelle sue Memorie, Giovanni Leanza annotava: “Casa Pizzica, oggi casa di proprietà di P. Delle Grottaglie, strada S. Barbara, 50”.
Adesso, a pochi metri da Via S. Barbara, c’è Vico Pizzica a ricordare la nobile famiglia.
Lo stemma così viene descritto dal Leanza: “La forma dello stemma è trapeziale, fornito di una grande cornice semiquadra. Il campo è bianco ed è guarnito da un semplice intaglio. Il detto campo rappresenta un grande uccello volatile chiamato grifone, con ali aperte, coda alzata e riccia e con la zampa destra alzata e con la sinistra appoggiata sopra un grande scoglio. Quest’uccello tiene un lungo becco, ossia a forma di aquila, orecchie e criniera sino al dorso. Il detto stemma è stato rilevato da uno in pietra posto in un angolo del palazzo di detta famiglia. N. 33 delle vignette” (Miscellania, p. 113).
Noi l’abbiamo ritrovato nell’atrio del Museo Arch. Provinciale “F. Ribezzo” e l’abbiamo fotografato per Voi.
N. Vacca (Brindisi Ignorata pp. 97-8) smentisce la tesi di don Pasquale Camassa, che parla di una lotta civile che divise i brindisini in due rissose fazioni, una che prendeva nome dai Pizzica, che capitanavano i nobili sostenuti dai contadini e che comprendeva la parte meridionale della città, e l’altra della Marina, composta di pescatori, che comprendeva la parte settentrionale. Linea di demarcazione fra le due opposte fazioni era la via che dal Duomo conduce a S. Benedetto. Anche E. Pedio, in una nota alla poesia “Uerra brindisina” di Agostino Chimienti accenna a queste lotte seicentesche, ma anche lui, senza indicare la fonte. Sempre secondo N. Vacca (ibidem pp. 182-3), queste zuffe tra contrade che si sono verificate fino al secolo scorso, potrebbero derivare da un’antica usanza: la Festa di San Giorgio, che si celebrava in Brindisi in onore del Santo e simboleggiava la Fidelitas Brundusina. La festa risaliva all’epoca aragonese e S. Giorgio era il protettore di Saragozza, capitale dell’Aragona.
Ogni anno due compagnie di archibugieri accompagnavano il sindaco che, a cavallo, recava il gonfalone della città con le sue insegne. Seguiva un’altra compagnia formata dalla nobiltà brindisina armata e a cavallo. Rullavano i tamburi, suonavano le trombe e le artiglierie sparavano a salve. Il corteo si recava probabilmente al Castello ove era atteso dal Castellano il quale, consegnava lo stendardo reale al sindaco che, dopo averne giurata la restituzione. lo dava al Camerlengo (o Maestro Giurato). Si ricomponeva il corteo che faceva il giro della città e infine si recava alla Piazza Nobile dove, su due finestre del Palazzo pubblico venivano issati lo stendardo reale e quello civico che vi rimanevano per otto giorni. In questa settimana era permesso a tutti i cittadini di armarsi ed esercitarsi amichevolmente alle armi. Il primo maggio si ripeteva la cavalcata per restituire al Castello lo stendardo reale. Questa festa con il passare degli anni fu offuscata da abusi cittadini nel maneggio delle armi, “per cui si verificavano non amichevoli risse tra cittadini e cittadini e tra questi e i soldati della guarnigione. Alla fine del ‘500 il Vicerè proibì la pittoresca cerimonia. Tuttavia, dopo il perentorio ordine vicereale, i giovani continuarono a fare una specie di guerra finta sfidandosi a battaglia le compagnie dei quartieri rivali che si azzuffavano tra loro con spade di legno e con sassi, facendo prigionieri da una parte e dall’altra. Col passare degli anni questi finti giochi divennero inimicizie vere, con gravi ferite e alle volte morti, furono perciò vietati sotto gravi pene. Può darsi che a queste zuffe, si riferissero appunto il Camassa e il Pedio.